venerdì 15 settembre 2023

Il mio nome è NESSUNO. (ovvero del PD e della perenne ricerca di Identità)

Se è pur vero che di mesi ne sono passati non troppi, come detto, sembra già che si pensi al dopo Schlein, una volta che il Pd si farà prendere a sberle alle Europee. La Meloni è tutt'altro che irresistibile, però tutto sommato si barcamena, riesce ancora a parlare al paese e seppur con retromarce, mugugni e silenzi, riesce tenere un rapporto non fasullo con l'UE. Certo ci saranno fibrillazioni anche da quella parte in campagna elettorale, ma di qua mi sa di più. Il perché è presto detto. Nella valutazione della piattaforma congressuale avevo detto che quella della Schlein era indefinibile ed elusiva su molti temi. Anche su quello dell'identità, che per la compagna Elly è un vagheggiare di sinistra radical ecologista movimentista progressista. Insomma di tutto un po', con riferimenti culturali pop, nostalgie berlingueriane (legittime) e infatuazioni per Corbyn e per la Ocasio Cortez. Ma il problema dell'identità nel PD non è secondario, tutt'altro. Come ricorda bene il Professor Pasquino nell'intervista che riporto sotto. E' il motivo per cui ho sostenuto Bonaccini, che invece aveva affermato chiaramente la necessità di un PD convintamente Laburista e Social-Democratico.

Il Partito Riformista di massa del Lingotto doveva essere la linea culturale da seguire, ma l'esasperata frammentazione interna, legata più a logiche di potere ha negato un dibattito culturale che favorisse la nascita di un substrato comune riformista pluralista, anzi troppo spesso si sono seguite sirene giustizial-populiste, favorendo il campo avverso, la nascita dei grillini, la riduzione del perimetro culturale ed elettorale. Questo lo si deve anche, come ricorda Pasquino, al non aver ammesso tra le proprie radici, il riformismo socialista, cui molto si deve al progresso culturale e sociale della sinistra in questo paese.

E qui ricordo bene un discorso del compagno Giovanni Crema, ai tempi dello SDI, quando ricordava che quella formazione aveva lo scopo di costruire un soggetto riformista plurale e di massa, dedicammo un congresso alla "casa dei riformisti" e pur tra errori, limiti, difficoltà, contrasti con quelli che sarebbero dovuti essere alleati e compagni di strada, si lavorò sempre per un Ulivo plurale, riformista, anche con qualche soddisfazione.

Che errore chiudere quell'esperienza per rifondare il PSI, ora mi è chiarissimo purtroppo, siamo passati da un soggetto che comunque aveva uno scopo proiettato al futuro, senza rinnegare le proprie origini, anzi difendendole in un momento storico dove l'antisocialismo era fortissimo e cercando di dare rappresentanza a tutta l'eredità storico culturale socialista e socialdemocratica, laica di questo paese, che ancora ai primi anni '90 rappresentava il 25-30% dell'elettorato, seppur divisa in più organizzazioni, ad uno nostalgico, con la testa rivolta al passato, privo di identità politica oltre i richiami alle glorie che furono, scarsa autonomia e pochissima inventiva programmatico culturale.

Parimenti, lasciar morire "la Rosa nel Pugno" fu uno sbaglio, certo i matrimoni si fanno in due, ma il concetto di un soggetto Liberal-Socialista forte e plurale era giustissimo e sarebbe stato un bell'argine alle sbandate demagogiche e giustizialiste di buona parte del centrosinistra di questi anni, i cui effetti si pagano (non è per eccesso di riformismo che il PD è andato consumandosi, ma per le lotte di potere e le contraddizioni ideologiche e le infatuazioni per inconcludenti vie "di sinistra"), anche qui forse, la storia sarebbe stata diversa se, sempre il compagno Crema avesse vinto la sua battaglia parlamentare per l'attribuzione dei seggi senatori alla RnP, probabilmente il progetto avrebbe tenuto e superato le difficoltà iniziali, ma fu colpevolmente lasciato solo, dalla maggioranza parlamentare di allora, che non aveva interesse a una corretta attribuzione dei seggi, così come i cosidetti alleati di centro sinistra che la RnP la vivevano come una spina, e diciamolo anche tra parte dello SDI e dei Radicali cui non dispiaceva che Pannella e Intini restassero fuori e che già meditavano come spartirsi strapuntini.

Al compagno Crema va da atto di aver combattuto 5 anni. In splendida sostanziale solitudine.

Ed oggi la crisi culturale del PD si manifesta agli estremi, con la compagna Elly che appunto abbandona completamente l'idea del riformismo veltroniano per posizionarsi su una piattaforma, non ben definita, ma che rende possibile l'accordo con i 5S. I quali in realtà faranno l'accordo solo se saranno loro a dare le carte. E giustamente l'on. Giaretta, riflette su come una radicalizzazione in tal senso del PD sia un estremo favore alla non invicibile armada meloniana. E questo processo passa per la ripetizioni di antichi errori, già visti con Renzi - cui si deve il merito di aver tentato di dare gambe all'idea di partito riformista a vocazione maggioritaria (e di esserci anche riuscito per una fase) - ossia quella di una forte autoreferenzialità dei gruppi dirigenti, di una incapacità di trasformare il dibattito interno da uno scontro a fuoco a   un processo di elaborazione culturale e organizzativo come è stato per buona parte della prima repubblica. Anche con Elly, si preferisce inasprire il confronto, oppure evitarlo, valorizzare solo i consenzienti e favorire l'uscita dei non allineati, anche quando portatori di sana critica costruttiva, non sapendo distinguere tra il fuoco amico e l'onesta dialettica. Ma questo indebolisce le prospettive politiche e genera processi di arretramento, come anche qui, ben rileva il citato on. Giaretta.

Ed il fatto che io non abbia altro posto per esprimere questi concetti, che qui, sostanzialmente a me stesso, la dice abbastanza lunga sullo stato del dibattito politico nel centro sinistra.


Il Giornale

"I dem in crisi: non hanno più identità politica"

Storia di Francesco Curridori

«Molti sono entrati nel Pd solo per ragioni legate all'esperienza personale o per la carriera politica che avevano già fatto, ma senza sapere bene cosa volessero e senza elaborare mai alcunché». Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica nell'Università di Bologna, commenta così l'uscita di alcuni dirigenti dal Pd.

La Schlein ha ragione quando sostiene che chi ha lasciato il Pd aveva sbagliato indirizzo quando vi è entrato?

«Il Pd ha un problema di fondo: non ha una cultura politica e, quindi, quelli che entrano portano con sé dei frammenti di cultura, ma non c'è una ricomposizione e, appena vedono qualcosa che non piace, se ne vanno affermando che il partito è cambiato. Ma cambiato rispetto a cosa? Al Pd precedente? No, rispetto alla loro idea di Pd nel quale sono entrati».

Ma l'idea originaria del Pd qual era?

«L'idea originaria del Pd non era molto ben congegnata. Era quella di mettere insieme le grandi culture politiche riformiste del Paese, a cominciare dalla cultura politica cattolico-democratica e dalla cultura politica comunista che, secondo me, aveva aspetti riformisti. Includeva anche la debole cultura ambientalista, ma dimenticava completamente la cultura socialista. Era un'idea inadeguata, ma soprattutto queste culture arrivavano all'incontro esauste. Mancava un ideologo, ad eccezione di Pietro Scoppola. Importanti ideologi socialisti, invece, vennero messi da parte».

Il Dna del Pd attuale, comunque, non è più quello del Pd delle origini?

«La valutazione migliore la diede D'Alema: fu un amalgama mal riuscita che nessuno ha mai cercato di rimettere insieme. Attualmente non si sa bene cosa sia il Pd e, quindi, qualcuno può dire: la mia idea era questa, non è più così e me ne vado'. Lasciare il partito è sempre un errore perché lo si indebolisce e non ci si rafforza. La Schlein sta cercando di cambiarlo, ma ho l'impressione che neanche lei sappia esattamente cosa vorrebbe fare».

Il Pd, quindi, non ha mai avuto un'identità propria?

«Sì, penso questo. Credo, però, che potrebbe averla perché c'è uno spazio politico per i riformisti, ma non ci sono riformisti dentro il Pd. Servirebbe un partito europeista che vuol dire avere una visione internazionale, una visione ambientalista e di rispetto delle regole. Dove sono gli europeisti? La Schlein ha alle spalle un'esperienza europea che dovrebbe valorizzare, ma vedo che non lo fa».

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