mercoledì 27 marzo 2019

L'alternativa peggiore

Le sconfitte alle regionali di Sardegna, Abruzzo e Basilicata sono state salutate con soddisfazione dal centrosinistra nazionale, Partito Democratico in particolare. L'impressione che ho avuto è che i risultati elettorali siano stati presi con lo stesso spirito di quelli che andando a giocare a calcetto con dei professionisti si rallegrano di aver perso "solo" 4-0 perché avrebbero potuto far ben peggio. Ci si rallegra del tracollo del M5S rispetto alle politiche. Che effettivamente, al netto dei distinguo del raffronto tra elezioni diverse, c'è stato. Ma è anche vero che questo travaso di voti, per ora va a ingrossare le file della parte verde del connubio pentaleghista oppure l'astensione. Al centrosinistra va molto poco. Ovviamente poi parte la solita litania sull'alternativa da costruire ai populisti e al governo giallo-verde. Per carità tutto vero e legittimo, però, non ci si sofferma abbastanza  sul fatto che al pentaleghismo esiste già un'alternativa: è il centrodestra a matrice leghista, con Meloni e Berlusconi a far da mosche cocchiere. E questa alternativa è ben più pericolosa dell'attuale maggioranza. Intanto perché il centrosinistra è a distanza siderale dal punto di vista del consenso elettorale e poi perché una compagine Verde-Blu (Lega-destra) ha in sé  la capacità di rompere l'ampio e composito fronte che oggi si sta formando contro il Governo Conte su vari temi. Infatti, oltre al mondo della solidarietà, ai Friday for Changing, è la politica delle infrastrutture ed economica che sta mobilitando fette del paese solitamente restie alla protesta. Pensiamo a Confindustria, mai così critica come oggi verso un governo, seguita da varie altre associazioni di categoria. Pensiamo alle proteste dei lavoratori dell'Oil&Gas, dell'Edilizia, dei sindacati e di varie realtà economiche. Orbene, la Lega, specie tramite il sottosegretario Giorgetti, si mostra come interlocutore affidabile per questi mondi, colei che cerca di intermediare verso il più problematico alleato pentastellato, la forza che fa da argine alle politiche economiche confuse dei grillini, la forza che se potesse far di più lo farebbe. E pazienza per la demagogia propagandista profusa a piene mani dalla Lega su immigrazione, Europa, le connivenze con i rigurgiti del mai estinto sottomondo filofascista italiano, il sostegno aperto alla piattaforma culturale e programmatica del Congresso della Famiglia di Verona. 
Il problema è proprio qui, questo vasto mondo del dissenso al governo Conte, a fronte di una illusoria politica sulla sicurezza e sopratutto, a fronte di una politica economica più pragmatica, di una revisione delle autonomie locali, può essere frazionato, e parti di esso possono essere disposte a barattare alcune questioni, pur di avere una prospettiva credibile di miglioramento del quadro economico, dando sostegno a una Lega finalmente autonoma dai Grillini. Aumentando ulteriormente il suo consenso. Senza dimenticare che la Lega dispone di grande radicamento sul territorio, molti amministratori, che perseguono organicamente e capillarmente le linee Salviniane, riuscendo a essere contemporaneamente di lotta e governo (basti pensare all'encomiabile, si fa per dire, capacità di Zaia in Veneto di scaricare su altri il peso di talune politiche scellerate portate avanti nella nostra regione negli ultimi 20 anni, come se la Lega non avesse avuto un ruolo primario nelle stesse). Si aggiunga che tutto sommato, nella rete degli amministratori leghisti, molti, da un punto di vista prettamente amministrativo, non sono nemmeno male.
Ecco una maggioranza di destra a trazione Leghista oggi, potrebbe facilmente portare avanti politiche di smantellamento dei diritti individuali,  politiche reazionarie sui diritti civili, di involuzione nella scuola e nella sanità pubblica e certamente politiche ambientali sideralmente lontane da quelle coraggiose e innovative che ci servirebbero. E ci isolerebbe ulteriormente nel contesto europeo, avvicinandoci a paese torvi come la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan, l'Ungheria di Orban, sostanzialmente diventando un mercato secondario preda di speculatori, dagli occhi a mandorla e non solo.  I numeri per farlo già ci sono. Il centrodestra oggi ha già i numeri.
E nel centro sinistra si continua a perdere tempo. Sostanzialmente si continua a non capire un tubo. Sostanzialmente si pensa di spegnere l'incendio orinandoci sopra. Un giorno la storia ci chiederà come potemmo essere stai così imbecilli.

giovedì 21 marzo 2019

Nostoi Socialisti

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Dopo tanti anni ho ripartecipato a un congresso di partito. Un  po' anomalo se vogliamo, ma comunque, è stato pur sempre un amarcord. Dieci anni sono sostanzialmente passati da quando lasciai il PSI. All'alba delle elezioni provinciali che diedero l'avvio al tracollo del centrosinistra nel veneziano. Ritenevo quell'esperienza conclusa, poiché il partito non avesse più nulla da dirmi ne io da dire al partito. Ciò non di meno, non ho abbandonato i rapporti personali e non mi sono "accasato" altrove come taluni miei estimatori, si fa per dire, preconizzavano. Anzi, sono rimasto ostinatamente nel centrosinistra, fino alla conclusione del mio servizio "attivo" in politica, riscontrando le sostanziali carenze delle forze politiche in campo. Ho da sempre rimpianto la fine dell'esperienza della Rosa nel Pugno, che poteva rappresentare un punto di aggregazione di riformisti di varie estrazioni, eterodossi e animati da un forte desiderio di innovazione e pragmatismo. Una forza che poteva essere interprete delle istanze sociali e culturali più d'avanguardia in un paese irrimediabilmente proiettato all'indietro. Finì come finì. Dopo il 4 marzo, col disastro che ha schiantato il centrosinistra italiano, portando drammaticamente a giorno tutti gli errori e le crisi in cui le forze progressiste occidentali si sono trascinate negli ultimi 25 anni, particolarmente in Italia, ho progressivamente avvertito l'urgenza di non poter più rimanere a fare da spettatore, ma di dover dare un contributo, per lo meno di discussione, nella ricostruzione del campo dei progressisti in Italia, per provare a contrastare la deriva sociale e culturale del nostro paese, che rischia davvero un triste viale del tramonto. Non potevo fare altro che tornare da dove me ne ero andato, sentendolo, pur con tutti i suoi limiti, l'unico luogo dove credo di aver qualcosa da dire, seppur con molta meno foga di una tempo. Perché 10 anni son passati e per me han valso come 30. A maggior ragione, ho sentito il richiamo, quando ho saputo che si tentava di ricostruire, seppur in sedicesimi, seppur con tutte le ristrettezze del tempo, l'ipotesi Rosa nel Pugno. Ed eccoci al congresso. molte facce note, alcune, più di quanto potessi immaginare, nuove, varie stupite di ritrovarmi (in effetti è un'anomalia, perché, per principio, sono solito non tornare mai in strade che ho lasciato). Il PSI è a congresso straordinario per cercare una via, un ruolo, dopo il 4 marzo 2018. Si fronteggiano 2 mozioni (!) di due "giovani" (quarantenni come me, ma in Italia la gioventù è un concetto molto ampio), Maraio - che vagheggia appunto di Rosa nel Pugno - e Iorio, che rilancia il concetto di "identità socialista". Ora, le due mozioni non differiscono poi molto, toccando vari temi e rilanciando il tema della revisione della struttura del partito. Cambia la tattica elettorale, che non è troppo definita in realtà, in nessuna delle due mozioni, e del resto per un partito dello 0 virgola, non potrebbe essere diversamente. I compagni che strillano su nostre necessarie ferme prese di posizione, troppo spesso ho l'impressione che credano che il PSI sia quello di Craxi e non quello odierno. Mi permetto alcune considerazioni, che regalo al dibattito del partito, se qualcuno le vorrà almeno leggere:

  • sebbene ci chiamiamo Partito Socialista Italiano, dobbiamo avere chiara la nostra dimensione attuale, non possiamo pensare di essere un partito di massa. A massimo siamo un partito di idee e ideali (forse), per cui scegliamo pochi temi, che ci rendano caratteristici e riconoscibili e usiamo linguaggi semplici nel comunicarli. Puntiamo sul LAVORO, cercando di diventare interlocutori dei settori sociali che hanno a cuore lo sviluppo del paese. Anche perché il tema lavoro permette di affrontare in maniera pragmatica temi come l'ambiente e l'equità sociale, sicurezza. In particolare dovremmo sottolineare con forza lo scandalo del gap occupazionale delle Donne. Il tema non si risolve dando incentivi alle donne per stare a casa, ma creando strutture e politiche che consentano loro  di coniugare famiglia e realizzazione professionale, se vogliamo rilanciare la natalità, bisogna rompere il luogo comune della maternità come handicap anziché come valore universale. E', inoltre, ampiamente dimostrato come una piena partecipazione delle donne alla produzione di reddito migliori grandemente i livelli di sviluppo economico e sociale di una paese.
  • troviamo un punto di ragionamento con quei settori industriali oggi in crisi per il diffondersi di un approccio antindustriale nel paese. E' possibile fare industria in modo ambientalmente e socialmente sostenibile, producendo occupazione di alto livello. Se l'industria se ne va dal paese il declino è inevitabile. Dobbiamo porci il tema della sfida della modernità, il lavoro che verrà non tra 100 anni, ma da qui a qualche lustro sarà molto diverso, l'automazione sta già rivoluzionando molti settori, è necessario essere pronti, culturalmente e socialmente. La trasformazione tecnologica della società deve essere governata anche in una chiave di tutela ambientale, viste le sfide che ci attendono per trovare una quadra per una gestione sostenibile del pianeta, e questo può essere fatto solo con realismo e rigore, e sopratutto abbracciando le innovazioni della Scienza, anziché rifugiandosi in ideologismi e egoismi.
  • L'età media si allunga, fortunatamente, così come il periodo di vitalità fisica, coi trend demografici attuali non è pensabile di sostenere un sistema previdenziale congegnato come quello italiano, sopratutto  con chi predica prepensionamenti come diritto acquisito. Bisogna riformare il sistema in modo che sia coerente col mondo del lavoro e ripensare le organizzazioni del lavoro tenendo conto di una programmazione della senescenza dei lavoratori, ovverosia organizzare il lavoro per ottimizzare i diversi punti forti e i limiti che durante la propria vita professionale un lavoratore può fornire, favorendo una sua permanenza attiva il più a lungo possibile e sopratutto facendo in modo che ciò sia frutto di una libera programmazione della propria carriera professionale.
  • attingiamo dalla nostra storia. Sopratutto dalla mitica conferenza di Rimini, esplicando davvero un programma basato su meriti e bisogni. In questo senso è necessario che forniamo una nostra chiave di lettura della modernità, della società italiana ed europea, con i loro punti forti e criticità e prospettiamo un possibile visione di orizzonte sociale. Insomma, non accontentarsi di amministrare l'esistente, ma fissare una prospettiva ideale. Diffondiamo e rendiamo accessibile il lavoro di elaborazione di Mondoperaio. Un sole dell'avvenire 4.0 insomma.
  • dotiamoci di un codice di condotta che sia rigoroso e che si applichi con coerenza senza sconfinare nel moralismo e in deliri giustizialisti. Costruiamo un'organizzazione di partito che consenta di partecipare all'elaborazione programmatica, cerchiamo di far capire come la pensiamo su temi forti, elaboriamo un modello operativo che consenta anche a sparuti gruppi di compagni di essere in grado di produrre attività sul territorio, usiamo in tal senso l'Avanti!, come fu il vero strumento di affermazione del socialismo a inizi del '900, così lo può essere ora.
  • Torniamo a parlare di legalità e a denunciare l'illegalità e a promuovere azioni politiche e culturali in tal senso. Per esempio in Veneto dobbiamo ammettere che esiste un problema, dobbiamo costruirne consapevolezza nella società e farlo diventare prioritario nell'agenda della politica veneta.
  • visto l'attuale dimensione, ci si può permettere il lusso di dire le cose come stanno, questo probabilmente non ci creerà consensi in certi ambienti, ma nell'Italia seria forse sì. In particolare, non dobbiamo arretrare nel ricordare il peso del debito pubblico. Il debito pubblico è un problema di equità verso il futuro e verso le classi più deboli, poiché prima o poi sono loro che lo pagano, o per l'aumento della tassazione o per il taglio dei servizi o per la crisi economica indotta. Per cui non possiamo avvallare politiche che si basino su deficit.
  • Identità socialista, non è il capello che fa il socialista, ma il suo parlare e sopratutto il suo agire. Trovate una quadra di convivenza, nella comunità socialista il dibattito può essere anche aspro, ma è tempo di finirla con le acrimonie. Questo anche  perché si dovrà ragionare con pragmatismo come presentarsi alle imminenti elezioni europee. Tramontato, o comunque decisamente ridimensionato il progetto calendiano, è bene dire fin da subito quale risultato ci si prefigge e quindi essere coerenti nel percorso per arrivarci, evitando cartelli elettorali posticci, anche la tattica elettorale va inquadrata in una più ampia e coerente strategia a lungo termine.
  • ritroviamo l'internazionalismo. Siamo diventati troppo tolleranti, o forse meno interessati ai problemi del mondo. Tolleriamo i mille drammi africani e mediorientiali, tolleriamo i campi profughi in Turchia, Libano, Bosnia, Grecia. Tolleriamo il carnaio siriano. Abbiamo tradito i valorosi Curdi, baluardo laico in un mondo di ferocia teologica. Tolleriamo i conflitti nel sudest asiatico. Tolleriamo la vicenda venezuelana e il dramma Salvadoregno. Tolleriamo la svolta Brasiliana, fingiamo di non vedere il conflitto ucraino e le contraddizioni russe. C'erano una volta i volontari per la libertà. Ci sono ancora? In questa ottica ritroviamo l'Europa, vero luogo per costruire opportunità per l'Italia, unico strumento per costruire una globalizzazione dell'equità, della solidarietà, della giustizia e dello sviluppo sostenibile. Purché la si voglia davvero.
  • Mi avvio a chiudere questo insopportabile pistolotto. L'anno prossimo si vota per le regionali in Veneto e per il comune di Venezia, Il nostro partito dovrebbe essere quello che suona la sveglia per primo a tutto il campo del centrosinistra e a tutte le forze che non si ritrovano negli assetti oggi al potere. Bisognava partire ieri a costruire una proposta e una squadra e un candidato a interpretarlo. Siamo in ritardo. Vogliamo fare gli spettatori anche alla prossima tornata elettorale? In questo senso anche il tema dell'autonomia regionale va sottratto alla propaganda leghista e ricondotto in un più organico quadro di revisione del titolo V, razionalizzazione dei rapporti Stato-Regioni-Autonomie Locali e sussidiarietà laddove utile. Ma il tema non va eluso.
  • Una raccomandazione ai due candidati segretari. Siete palesemente e conclamatamente meridionali. Non che sia una colpa. Ma è un fatto. Attenzione a non perdere una visione articolata del territorio nazionale e della necessità che il partito debba poter trovare forme di autonomia locale atte a garantire maggiori sinergie col territorio stesso. E sopratutto, attenzione a ritenere che la minore forza elettorale a nord del partito si debba a indolenza dei militanti settentrionali. Non è così è dovuta al più generale divorzio che tanta parte della società del nord ha avuto dalla sinistra in generale dal '94 in poi, per le ragioni che vi dovrebbero essere note.
Sono stato lungo. Ma ho taciuto 10 anni. Ed ora, ricordiamoci ciò che diceva la Luxenburg, per il compito che ci aspetta grandemente abbiamo da lavorare, ma ancor di più grandemente da studiare. E quando parliamo d'unità, ricordiamoci, come diceva Turati, che si può fare solo nella chiarezza.
Al lavoro alla lotta.
Fraternamente.

lunedì 4 marzo 2019

Centro Sinistra - post sisma e ricostruzione

Sono passate le primarie del Partito Democratico, Zingaretti è il nuovo segretario, ed è certamente buon auspicio che il primo atto sia stato andare in pellegrinaggio, si fa per dire, dai pro TAV, a marcare comunque una diversità non solo culturale, ma anche pragmatica, dai giallo-verdi. Ciò detto, senza preconcetti di sorta, ma con sana prudenza, mi permetto di essere diffidente: c'è chi vede nella vittoria di Zingaretti un sostanziale ritorno al passato, ovvero a un centro sinistra magari più robusto, ma comunque alla fine non vincente e in ogni caso inconcludente, ossia quello che comunque alla fine aveva "non vinto" le elezioni. Dal mio punto di vista, sono convinto che il fatto che le primarie siano state partecipate abbia una doppia valenza. Positiva perché dimostrano  che quello che è, comunque, ancora, il principale soggetto del centrosinistra è comunque vivo e dotato di non poche energie,  e, quindi, buona base da cui partire, tra l'altro in un contesto di mobilitazione crescente delle forze che non si riconoscono in questo governo, come dimostrano le manifestazioni di Torino e Milano; dall'altro vedo una certa negatività, poiché non vorrei che questo creasse illusioni di maggior forza di quella effettiva e soprattutto innescasse processi di autoreferenzialità, che tanto hanno nuociuto in passato. In particolare  le primarie 2019 sono state occasione per molti potentati locali del PD di riposizionarsi e di mantenere i loro feudi, non va scordato che uno dei limiti principali dell'azione renziana, tra le cause del suo declino politico, è stato proprio quello di non aver messo davvero in atto la "rottamazione", soprattutto negli stili e nei metodi - e poi di conseguenza in chi li praticava - nei livelli periferici, molto invisi all'opinione pubblica e responsabili, di molte delle defezioni del partito e del centro sinistra più in generale.
Non faccio processi alle intenzioni, ma da alcune dichiarazioni di Zingaretti, temo che la proposta di Calenda "Siamo Europei" finirà con il meccanismo veltroniano delle "figurine", ossia con l'utilizzo di personalità di spicco come candidati alle europee, che dovrebbero potarsi dietro i mondi di cui dovrebbero essere espressione. La cosa raramente ha funzionato, anzi ha prodotto effetti controproducenti come i casi Calearo e Binetti - chi ha un po' di memoria se li dovrebbe ricordare.
Pur ritenendo le primarie del 3 marzo un momento importante per il centrosinistra (e per questo trovo che gli sfottò rivolti a sostenitori democratici che hanno votato siano beceri, inopportuni e irrispettosi), sento già un po' troppa retorica sulla "storicità delle primarie 2019" e sul "adesso tutti uniti", mi pare si dia una valenza contingente e locale alla crisi del centrosinistra italiano, mentre essa è globale, storica e inserita nella più ampia crisi mondiale delle forze riformiste e progressiste, specie in occidente.
Mi viene in mente quanto scritto nel libro  "Riparare l'Italia" di Erasmo de Angelis, già capo di ItaliaSicura, il libro racconta un millennio di sismi in Italia e in particolare evidenzia come troppo spesso, dopo ogni sisma non si imparava nulla, tornando a costruire malamente, in attesa del prossimo terremoto, questo nonostante l'elaborazione di tecniche costruttive adeguate al rischio, ma spesso complesse e costose e perciò invise sia ai costruttori che al popolo - che non sempre è avveduto e saggio come una certa retorica lo racconta. Ecco, mi pare che il centrosinistra, dopo il sisma del 4 marzo 2018 si stia ricostruendo esattamente con le stesse tecniche del passato e, quindi, con le stesse vulnerabilità.
Fossi smentito ne sarei lieto, ed in ogni caso, nel mio piccolo continuerò a fare il geologo anche in politica, evidenziando i dissesti del centro sinistra e cercando di dare, come sempre, poiché sarebbe da ignavi non farlo, il mio modesto, modestissimo contributo.

Il mio nome è NESSUNO. (ovvero del PD e della perenne ricerca di Identità)

Se è pur vero che di mesi ne sono passati non troppi, come detto, sembra già che si pensi al dopo Schlein, una volta che il Pd si farà prend...