mercoledì 21 febbraio 2018

L'importanza di chiamarsi Fornero

"10 cose da sapere sull'Economia Italiana - prima che sia troppo tardi" di Alan Friedman. Il libro di fatto ricalca il precedente "Ammazziamo il gattopardo", in cui Friedman raccontava un po' delle italiche magagne, ossia di quei problemi strutturali del nostro Paese che, per varie ragioni, fatichiamo a correggere, spesso procrastrinando, aggravando la situazione e scaricandola sui posteri. In questo nuovo libro il tema futuro è centrale, Friedman analizza, viaggiando assieme a una fittizia famiglia livornese, paradigma della famiglia media italiana, i problemi della disoccupazione  giovanile, del debito pubblico, della crisi bancaria, delle difficoltà delle piccole imprese, del rapporto col fisco, della visione dell'Europa, della burocrazia paralizzante, del sistema pensionistico. La lettura è agile e i temi posti con chiarezza, talvolta brutale, non gridando alla casta, ma a problemi che sono incistati nella società italiana, taluni culturali, taluni storici. Si osserva come molte problematiche siano scaricate sui posteri, poiché la mancanza di una sistema di governo forte e non assetato di consenso impedisce di affrontarli come si dovrebbe. Ma prima o poi i nodi vengono al pettine. Due fra tutti, il debito pubblico, che per esempio nella campagna elettorale 2018 quasi tutti tacciano (lodevole eccezione Emma Bonino), dimenticando come questo sia una bomba a orologeria, che potrebbe portare non fra 30, ma fra 5 anni ad attacchi di tipo speculativo al Paese, innescando una crisi finanziaria ben più drammatica di quella, pur pesantissima, da cui lentamente stiamo uscendo, una bomba che va disinnescata, con misure serie, senza promettere irealizzabili tagli di tasse, o aumenti del deficit, ma attraverso una seria revesisione della spesa pubblica e una successiva riforma del sistema fiscale, rendendolo più sempliche, ma anche anche poiù "certo". L'altro nodo è quello delle Pensioni. Può piacere o no, ma nel nostro paese si vive sempre di più, e, diversamente da quanto uno possa credere, i contributi che ogni lavoratore versa all'INPS non servono a pagare la sua futura pensione, ma quella di chi in pensione c'è già. Un sistema così funziona bene se gli occupati sono più dei pensionati (il rapporto era 4 a 1 al tempo della riforma Brodolini che istituì il retributivo), oggi è a mala pena di 1 a 1 (questo pone il tema dell'occupazione, specie giovanile, altra sfida per l'Itaia). Inoltre aver avuto per lungo tempo un sistema retributivo ha fatto sì che si elargissero pensioni generose, non coerenti con quanto ciascuno aveva effettivamente versato. Su questa questione probabilmente con i miei ci avrei litigato, ma è normale.  Questo ha reso necessarie diverse riforme del sistema a partire dal 92, per evitare che il sistema saltasse (siamo tra quelli che al mondo hanno la maggior spesa pensionistica, in parte sorretta dalla fiscalità generale), fino ad arrivare alla detestata FORNERO. Friedman nel libro dice molto schiettamente, cosa che anch'io più modestamente ho sempre pensato, ma mai esternato, per evitare litigi inutili, che la FORNERO è stata una medicina amarissima, ma indispensabile, e la Fornero è stata l'unica, tra coloro i quali hanno retto le istituzioni, almeno in tempi recenti, a parlare con franchezza e onestà agli italiani, presentando loro la realtà dei fatti. E ovviamente a chi fa il lavoro sporco l'Italia certo non riserva encomi. Certo la riforma può avere dei correttivi, ma chi racconta di volerla buttare via, imbroglia. Il nodo è che bisogna trovare il modo di ridurre il cuneo fiscale, ciò il differenziale tra quanto pagano le aziende e quando percepisce il lavoratore, in modo che questi possa affiancare alla pensione INPS (che percepirà lontano nel tempo e non sarà larghissima) una pensione integrativa, cosa che difficilmente oggi la media dei lavoratori dipendenti o autonomi che siano riesce a fare visti gli attuali livelli di reddito.
Friedman riesce a dare, in modo agile, strumenti utili per chi voglia guardare al presente di questo Paese e al suo futuro con realismo e senza farsi irretire da imbonitori di sorta. Sempre che questo Paese lo voglia e non preferisca invece farsi irretire. Perché, comunque, prima poi dovrà amaramente risvegliarsi.

lunedì 12 febbraio 2018

Riflessioni Sinistre

In questi giorni di forzata inattività, mi sono messo a rileggere un po' di testi, ma sopratutto ad leggermi le posizioni attuali delle forze di sinistra in campo, i loro programmi, le riflessioni dei loro capi. Devo dire che le varie sigle di sinistra, l'un contro l'altra armate, che allegramente marciano verso una probabile batosta, mi ricordano quanto diceva Turati, che parlando del Socialismo Italiano, diceva che il suo principale problema erano i Socialisti Italiani, rissosi e condannati alla scissione perpetua. Questo germe si è diffuso a tutta la sinistra italiana, arrivando a quel paradosso della sinistra
"virale" magistralmente raccontato da un Bertinotti-Guzzanti in uno dei suoi spettacoli. Se da un lato c'è un tendenza a privilegiare la forma sul contenuto, rinnovando sì i linguaggi, ma perdendo di vista la necessità di dare comunque sostanza e respiro alle proprie posizioni, non riducendole alla frenesia di ridurle a slogan, a tweet, non assoggettandole a un frettoloso qui ed ora, per l'ansia da consenso, dall'altra vi è una vetusta autoreferenzialità in una presunta superiorità morale e intellettuale, che di fatto inibisce ogni tentativo di analisi e lettura del presente e di disegno di nuove rotte, che non siano quelle già tracciate lustri fa, quando i mari erano ben diversi. In ambo i casi si produce una sinistra velleitaria, elitaria, chiusa, rappresentativa solo di determinati gruppi e di fatto dedita alla difesa di questi e non a dare una lettura del presente e un'idea di futuro. Avessimo chiesto cinquant'anni fa, ai partiti della sinistra di allora: Compagni dove vogliamo andare? Avremmo ottenuto varie risposte, alcune utopiche, altre più pragmatiche, ma avremmo comunque avuto riscontri, immaginiamo di porre una domanda simile oggi, avremmo delle risposte? E ne avremmo di comprensibili? Più probabilmente avremmo qualche imbarazzo alla parola compagni da parte di qualcuno e qualche sorriso di autocompiacimento da talaltri. 
Ho letto qualche tempo fa un bel libro di Mujica, il mitico ex presidente dell'Uruguay, paese sudamericano, che in molto somiglia all'Italia - non a caso molti nostri connazionali ci sono immigrati in cerca di fortuna.  Mujica è stato spesso additato a modello per la sua capacità di rinuciare agli sfarzi della politica, ma ci si è poco soffermati sui contenuti della sua azione. Se da un lato andrebbe preso a modello per la cortesia dei modi di porsi - quanto avremmo bisogno di cordialità nella politica italiana e di rispetto reciproco - dall'altro il suo pragmatismo e capacità di analisi sono altri due elementi peculiari, secondo me tipici di una sinistra di governo, ma assenti nella sinistra nostrana. Mujica, infatti, va ben oltre la retorica, e la sua semplicità, che vuole essere anche modo per non divenire condizionato dal Potere, ma per poter esercitarlo con il necessario distacco che dovrebbe avere ognuno che si trovasse a occupare pubblica carica (usarlo senza esserne sedotti), è corollario e non teorema. Interessante è, per esempio, scoprire che Mujica crede negli accordi commerciali sovranazionali, ritenendoli strumenti con cui evitare lo strapotere del Mercato e quindi del Capitale rispetto ai lavoratori, per questo si compiace del CETA tra Ue e Canada e auspica il TTIP (ai sinistri nostrani penso sia venuto il coccolone), spera a un rafforzamento del MENCONSUR (il mercato comune americano - un caso che TRUMP lo contesti?). Ma di fatto questa è un'ovvietà, è ovvio che se più governi riescono ad accordarsi per uno schema di regole, che  abbia lo scopo di favorire gli scambi e non alcune parti, questo consenta economie più eque, significa dare regole da rispettare alla multinazionali e su cui poterle controllare (in assenza, le multinazionali vanno molto meglio a regolarsi con i singoli governi, dei singoli Stati, spesso ben più facilmente malleabili).
Mujica poi elogia molto l'UE, ne auspica un rafforzamento, vedendola come il motore principale alla diffusione di principi di democrazia, diritti civili e sociali non che come elemento di riduzione dei conflitti nel mondo.
Mi ha poi molto colpito scoprire l'organizzazione della sinistra uruguayana: una federazione di sigle diverse, che si presentano unitariamente alle elezioni nazionali, pur mantenendo le proprie auotnome identità, seleziona con primarie interne il candidato presidente e la squadra di governo. Fantascienza.

Il mio nome è NESSUNO. (ovvero del PD e della perenne ricerca di Identità)

Se è pur vero che di mesi ne sono passati non troppi, come detto, sembra già che si pensi al dopo Schlein, una volta che il Pd si farà prend...